L’ideologia estetica dall’antichità ai giorni odierni
Dagli albori della civiltà umana la moda, che letteralmente si riferisce proprio a un comportamento collettivo (dal latino modus che significa maniera, norma o regola) è un fenomeno in continua evoluzione che separa ma allo stesso tempo unisce.
L’abbigliamento cambia in base alle esigenze (il caldo e il freddo sono senza dubbio i primi elementi che spingono i nostri antenati a coprirsi o a svestirsi) ma soprattutto in relazione al ruolo che si riveste all’interno della società, alla propria cultura e alle proprie credenze. Vestirsi, infatti, non significa solo coprirsi e quindi non è solo un’esigenza funzionale ma l’usanza d’indossare degli indumenti e degli ornamenti serve anche a suddividere la popolazione in base al proprio ceto sociale (un nobile, per poter essere riconosciuto e trattato di conseguenza, non si può certamente abbigliare come un contadino) o a rappresentare dei simboli correlati a dei riti magici.
Parallelamente un’altra peculiarità della moda è la contaminazione e l’influenza che il costume di un luogo subisce da culture diverse. Fin dai tempi antichi le usanze in voga in determinate civiltà non restano incondizionate all’interno delle stesse ma vengono modulate tramite i rapporti con altri popoli per ottimizzare i capi di vestiario.
La storia della moda, quindi, è un susseguirsi di nuove tendenze, di sperimentazione, d’innovazione e di fusione multiculturale ma è costellata anche dalla nostalgia verso ciò che è passato (il vintage ne è una testimonianza lampante) e dal bisogno di distinguersi. Pertanto la moda è un mezzo attraverso il quale raccontarsi e trasmettere un’ideologia o un semplice messaggio. Tutto ciò che indossiamo ha una storia ben precisa ed è parte di essa: scegliere di portare un abito piuttosto che un altro esprime molto della personalità del soggetto che lo indossa.
Dal Paleolitico all’epoca Rococò
L’esigenza d’indossare un capo d’abbigliamento parte dal Paleolitico, cioè da quando i nostri antenati iniziano a pulire le pelli tramite dei raschiatoi creando degli indumenti sciolti che vengono drappeggiati intorno al corpo. Successivamente, con la creazione degli aghi ottenuti da spine di pesce o da frammenti di osso, le pelli raschiate vengono cucite insieme. Le pellicce, quindi, non vengono più solo buttate sul corpo per poter sentire meno freddo ma vengono scelte, trattate e cucite tra di loro in modo tale da adattarle e farle aderire alla struttura fisica degli individui creando dei primitivi abiti su misura.
Da queste rudimentali produzioni sartoriali si passa, nel Neolitico, alla creazione di vestiti costituiti da tessuti, infatti è proprio in questo periodo che vengono costruiti i primi telai che permettono d’intrecciare i filati di lino e di lana con i sistemi della trama e dell’ordito.
Con la diffusione delle stoffe viene abbandonato l’utilizzo delle pelli degli animali e vengono impiegati sempre più materiali per la creazione degli abiti che, intorno al I millennio a.C., vengono prodotti in lino, cotone, canapa, lana, seta e bisso. Oltre a queste innovazioni nel confezionamento degli indumenti, l’esigenza di curare sempre di più il guardaroba spinge i Fenici a tingere i tessuti tramite il pigmento della porpora, ricavato essiccando il murice. Ormai vestirsi non rappresenta solo un modo per proteggersi dalle condizioni ambientali o climatiche ma determina principalmente un simbolo di appartenenza a un gruppo. Questo bisogno di distinguersi decreta la continua necessità di migliorare e innovare maggiormente le proprie vesti e pertanto spinge le popolazioni antiche, tramite i commerci, a importare ed esportare usi e costumi stranieri. Si viene così a determinare una mescolanza di materiali, di fogge e di colori che lentamente vanno a modificare l’abbigliamento collettivo delineando un melting pot sartoriale.
Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e l’avvento del Medioevo si verifica una chiusura culturale e bisogna aspettare i primi secoli del I millennio d.C. per assistere a una ripresa degli scambi commerciali e quindi a una rinascita dello sviluppo del settore tessile. In questo periodo, l’utilizzo e la diffusione di strumenti che permettono una maggiore precisione nella sartoria, come il ditale, gli aghi d’acciaio e le forbici a lame incrociate, permettono che la qualità generale dei vestiti delle fasce di popolazione meno agiate migliori, nonostante gli indumenti costituiti da materiali pregiati rimangano appannaggio dei ceti più abbienti.
Nel Trecento vengono introdotti i lacci e i bottoni, si diffonde l’uso della biancheria e si sviluppa una sartoria in grado di dare vita a capi drappeggianti, a modelli aderenti e a cuciture dritte.
Nel Quattrocento i tessitori, i sarti e i venditori di vestiti acquisiscono sempre più rilevanza a livello sociale sia dal punto di vista economico che politico. Sul mercato dell’abbigliamento compaiono i merletti, i velluti, i tessuti broccati, i berretti e le calze, tutti di estremo pregio, la cui produzione aumenta proporzionalmente alla crescita economica e a quella tecnologica.
Nel Cinquecento il fasto del vestiario è sempre più rappresentativo della ricchezza e del potere nobiliare. Nei ceti medi e alti gli abiti perdono sempre di più la loro funzione pratica e frequentemente diventano dei puri ornamenti.
Nel Seicento l’evoluzione dell’abbigliamento determina che presso le corti oltre ai principi anche i ciambellani, le dame, le guardie e i poeti siano dotati di uniformi pregiatissime, colorate in modo variopinto e prodotte con tessuti costosissimi. L’esaltazione di questa tendenza si verifica con lo stile barocco del quale Luigi XIV, detto il Re Sole, è la figura più significativa. Il sovrano costringe tutti coloro che devono recarsi a corte a indossare indumenti “teatrali” e molto ricamati.
Nel Settecento, alla sua morte, inizia il periodo rococò che è indubbiamente rappresentato dal lusso esasperato e dalla tendenza all’eccesso. È l’epoca dei corpini strettissimi per esaltare la vita da vespa, delle gonne esageratamente ampie sostenute da ingombranti panier che per le loro dimensioni impediscono alle signore ogni movimento, delle scarpine da cerimonia realizzate in tessuti pregiati e ornate di gioielli, perle e diamanti, dei tacchi altissimi che fanno sembrare le calzature quasi dei trampoli, dei cappelli dalle fogge ampie arricchiti di piume e decorazioni sovrabbondanti, dei guanti, dei ventagli, delle acconciature estremamente complesse e voluminose, delle parrucche, delle maschere di cipria e delle sopracciglia disegnate. A questo stile si adegua anche un personaggio di spicco dell’epoca cioè Maria Antonietta, artefice di una moda bizzarra e appariscente costituita da abiti di corte sontuosi, estremamente ampi, caratterizzati da delle forme fantasiose, ricoperti di passamaneria, costellati di nastri e cosparsi di fronzoli e da vestiti quotidiani di dimensioni meno esasperate ma sempre eccentrici (uno dei modelli è la robe à la polonaise). La regina abbina a tali costumi sfarzosi delle acconciature turrite dalle altezze impressionanti caratterizzate dalla presenza di boccoli e trecce pendenti, fiocchi, fiori, piume, perle e broche di diamanti.
Dalla fine del Settecento ai primi anni del Novecento
Dal Neoclassicismo in poi non sono solamente i nobili a dettare la moda, infatti i borghesi sono liberi di abbigliarsi come credono e pertanto la scelta di ciò che s’indossa non è più mirata a esaltare il proprio status ma diventa maggiormente funzionale: gli abiti tornano a essere più semplici, acquisiscono una maggiore sobrietà e hanno dei tagli meno rigidi, sia per quanto riguarda gli uomini, sia per quanto concerne le donne, anche se ciò non determina l’abbandono degli accessori di lusso. I borghesi, infatti, sono signori che lavorano e che necessitano di vestiti consoni e comodi ma che, al contempo, vogliono distinguersi dagli individui meno abbienti. Queste esigenze li spingono verso un’estrema cura rivolta al proprio aspetto e un’attenta selezione dei materiali di alta qualità che scelgono per far imbastire i propri indumenti (è proprio da questa propensione che nasce il periodo definito dandismo: il “dandy” è colui che è molto attento alla propria immagine). A questa linearità ricercata degli uomini si contrappone l’ostentazione delle donne che, attraverso i loro capi di vestiario, dichiarano lo stato di benessere della famiglia.
Nel 1851, in un clima nel quale le signore hanno poca rilevanza e devono seguire determinati canoni di bellezza (la maggior parte delle volte malsani e dannosi), s’incominciano a osservare le prime proteste femminili verso le rigide regole legate all’abbigliamento.
Nel 1857 a Parigi nasce un laboratorio di sartoria il cui proprietario, Charles Frederick Worth, è ritenuto il primo stilista della storia. Con lui nascono anche le ragazze sosia, le prime indossatrici e l’haute couture. Le donne vengono nuovamente strumentalizzate dalla moda.
La seconda metà dell’Ottocento è in generale contraddistinta, per quanto concerne la sartoria femminile, dal rendere gli abiti progressivamente più funzionali abbandonando gli eccessi precedenti, anche grazie all’influenza esercitata dalla diffusione dello sport, facendo pian piano sparire la sottogonna e permettendo finalmente alle donne d’indossare bustini meno rigidi che coprano solo i fianchi.
Alla fine dell’Ottocento compaiono, inoltre, i primi tailleur e le calze nere mentre ritornano in voga le scarpe con il tacco.
Il Novecento è il periodo in cui la moda cambia più rapidamente: ci si distacca dalla tradizione e si ricerca un proprio look. Le creazioni degli stilisti diventano sempre più rilevanti e la diffusione delle prime riviste porta anche le sarte di periferia a confezionare abiti trendy per le donne borghesi meno abbienti. Probabilmente anche per questo motivo nasce il prêt-à-porter, cioè dei capi prodotti in grosse quantità da famosi couturier. La moda ora è estremamente libera: ciò comporta l’insorgere di tutti coloro che vogliono sottolineare la volontà di allontanarsi dalle tendenze imposte e pertanto sono tante le proposte alternative di questo secolo.
Dagli anni ’20 ai giorni d’oggi
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale tanti uomini sono costretti ad arruolarsi nell’esercito e le donne, finora poco abituate a dover provvedere economicamente alle proprie famiglie, non possono far altro che andare a lavorare sostituendo i consorti anche nelle mansioni tipicamente maschili. Tutto ciò segna profondamente la cultura e la moda creando delle signore che, anche una volta terminata la guerra, non sono più disposte a indossare i panni di prima.
In questo clima di profondo cambiamento è Gabrielle Bonheur “Coco” Chanel a fare davvero la differenza creando i primi vestiti corti in jersey, un tessuto elastico e lucente, sia nella versione del classico tailleur femminile che in quella, nel ’26, della petite robe noire, ossia il tubino nero entrato nel mito. Sempre negli anni ’20, dopo essersi accidentalmente bruciata la capigliatura su un fornello, se la taglia dando origine alla moda delle acconciature corte anche per le donne. Da qui in poi le signore assumono una libertà che mai avevano avuto prima.
Lo sviluppo del ruolo femminile è ormai evidente: l’uso, a partire da questo decennio, degli abiti sportivi e del trucco assieme a quello, più avanti negli anni, dei blue jeans (lanciati per le donne nel ’35) e dei bikini (inventati dal sarto francese Louis Réard a Parigi nel ’46) sono dei segni inequivocabili che qualcosa all’interno della società sta cambiando.
Negli anni ’50 cercano il proprio distacco dalle regole imposte dalla moda anche i giovani che creano il proprio stile in base al gruppo d’appartenenza: le sottoculture sono molteplici e ognuna di esse è rappresentata da specifici indumenti.
Dagli anni ’90 la sartoria continua a cambiare, andando anche a ripescare certi dettagli caratteristici dei decenni precedenti, e questa tendenza non si è ancora persa: pure oggi, nella moda contemporanea, possiamo notare come costantemente vengano riprese dal passato determinate creazioni.
I vestiti vintage
L’abbigliamento vintage può essere haute couture o etichette di moda mainstream di qualità e può essere usato, nuovo (da deadstock), prodotto o fatto a mano.
Attualmente gli abiti che vengono attribuiti alla moda vintage sono quelli riconducibili al periodo che va dall’inizio degli anni ’20 alla fine degli anni ’90.
Il termine “vintage“, in generale, viene usato per descrivere dei capi di vestiario che hanno tra i venti e i cento anni e che sono chiaramente rappresentativi dell’epoca in cui sono stati prodotti, cioè i pezzi devono fortemente riflettere gli stili e le tendenze associati a un determinato periodo.
È importante ricordare che la definizione di vintage è fluida, quindi ogni decennio produce nuovi articoli che rientrano in questa categoria, e che tutti gli indumenti di questo tipo finiscono per diventare antichi da quando hanno cento anni.
Un’altra rilevante precisazione è la differenza che intercorre tra lo stile vintage e quello classico: quest’ultimo, al contrario del primo, si riferisce a un pezzo che rimane elegante nel tempo e che quindi non riflette l’era in cui viene realizzato ma trascende tutte le epoche con aggiustamenti minori per quanto riguarda le fattezze.